Il mio grosso grasso piatto toscano
Cacciare a palla, 01-11-2019, Sandra Salvato
Il mio grosso grasso piatto toscanoEcco come sposarsi con la tradizione regionale, quella rozza e popolare tanto in voga nel passato che due autorità in fatto di libri e di gusto portano di nuovo sulla tavola, per la felicità dei ghiottidi Sandra SalvatoLi chiameranno mammut e loro, per tutta risposta, mostreranno ai molecolariani, vegetariani, alla gente in punta di forchetta dei nostri tempi come la tradizione ignorante nel piatto sia infinitamente più appetitosa e aiuti ad affrontare meglio presente e futuro al livello dell’ombelico.
È bastato leggere le prime pagine di Ricette ignoranti, la Toscana in 100 pietanze gastronomicamente scorrette, firmato da Antonio Pagliai e Andrea Gamannossi, per realizzare che occhi e papille sono ancora in piazza a rivendicare il vero food porn e l’appagante sazietà che ne consegue. Perché, diciamolo: con i chicchi di miglio è preferibile sfamarci il pennuto, con lo gnocco molecolare, invece, ci vado al cinema una sera d’estate. Il libro intingola nell’ironia per portare sotto il naso anche la memoria di un tessuto sociale in via d’estinzione, quello contadino, d
i autoconsumo e produzione a centimetro zero. Ora che abbiamo aizzato il dibattito – i gourmet si sentiranno oltraggiati da una zangola di gurguglione o dalla frittata con il lesso – ci abbandoniamo al tocco di rozzeria gastronomica che i due autori cucinano abilmente, prima con le parole e poi sui fornelli. La Toscana, ergo l’io territoriale, sfoga nel tronfio e nel riunto, nel lardoso e nell’ignobile, nel riciclato, nello scandaloso e nell’indimenticabile.
Popolare semplicità, triviale naturalezza dello stare a tavola, magari col bavero al collo condito di sugo come la pietanza. La dieta è mediterranea, nel senso che pesca nei sapori autoctoni, senza dimenticare la selvaggina. Poi, però, rincara con verace toscanità, dove il tempo per fare, e poi per godere, è fattore di primaria importanza. Il grado di pericolosità del manicaretto, la cui preparazione è istruita con dovizia di particolari e dosaggi forniti con scienza infusa, è indicato da teste di cinghiale al posto della proverbiale forchetta delle bibbie gastronomiche: con un solo cinghiale si può sperare di alzarsi da tavola in leggerezza o
avere il coraggio di affrontare un’altra portata. Chi non vorrebbe fare scarpetta della polenta col sugo di funghi, fatta alla maniera lucchese, e subito dopo offrire al palato la dolce pastella delle frittelle di mele? Per stomaci forti e analisi del sangue a prova di colesterolo, c’è il carcerato pistoiese che chiede in cambio sei teste. Altrimenti che carcerato sarebbe? La ricetta è a base di vitello, pecorino e verdure, piatto iperproteico che sarebbe meglio digerire a pranzo, onde evitare di ballare tutta la notte con gli ungulati alla maniera di Costner-Dumbar con i lupi dei Sioux. Il libro manuale culinario è quello che chiedono Pagliai e Giannossi, già maestri nell’arte della scrittura: un’esperienza immersiva nella cucina toscana con un piedino nelle tradizioni gastronomiche dei territori confinanti. La trippa col sugo, per esempio, è un must laziale, mentre le ranocchie si servono più in generale a nord dello Stivale. Il vero tocco di raffinatezza è la pregevole Ignorantografia, o bibliografia culinaria, che fa la felicità di ogni ghiottone e ci assicura un posto nel girone dantesco.