Valla predica, Lutero confessa
Il Sole 24 Ore, 05-01-2020, Gianfranco Ravasi
Anche chi ha solo pallidi ricordi liceali collega il nome di Lorenzo Valla all’umanesimo quattrocentesco e forse ricorda lo strepitoso colpo di mano con cui – attraverso un’acuta indagine critica – aveva smontato la fake news della Donazione di Costantino a papa Silvestro dell’area romano-laziale, base del potere temporale della Chiesa. Questo falso storico, dalle conseguenze politico ecclesiali imponenti, era stato demolito dall’opuscolo De falso credita et ementita Constantini donatione la cui pubblicazione critica è programmata nel piano dell’edizione nazionale delle opere di Valla. Una delle tappe di questo progetto è costituita da un breve sermone sul «mistero dell’eucaristia » pronunciato dal grande umanista – che aveva ricevuto almeno gli Ordini sacri minori – nel giovedì santo di un anno non precisato, in una chiesa romana non indicata (forse la basilica Lateranense nel 1457).
È possibile ora leggere nell’originale latino, oltre che nella versione italiana, questo sermone che sarà piaciuto
all’uditorio non solo per la sua densità tematica e per la sua nobiltà stilistica ma anche per la sua brevità. Si pensi che in questa edizione occupa solo  pagine, mentre tutto l’apparato allegato, rispondente ai più rigorosi e raffinati canoni dell’ecdotica, totalizza oltre 250 pagine! Il merito va all’acribia straordinaria di Clementina Marsico, a cui si associa in appendice Marco Bracali con un saggio «sulle tracce antiche di una spiritualità nuova ». Al centro della predica c’è un suggestivo parallelo tra eucaristia e incarnazione, anche se egli confessa di non saper optare tra le due definizioni: è il pane che si trasforma in Dio o è Dio a trasformarsi in pane.
Pur essendosi affacciato già a partire dalla teologia del XII secolo, Valla non adotta mai, al riguardo, il famoso termine «transustanziazione», sulla cui modalità di attuazione si era impegnata, con un ingente dispendio di energie intellettuali, la riflessione medievale. Il citato parallelismo con l’incarnazione di Cristo sembrerebbe
, a prima vista, incrinato dalla ripetibilità dell’eucaristia che è ininterrottamente celebrata, mentre l’ingresso del Figlio di Dio nella carne è eph’ hapax, «una volta per sempre», come afferma la neotestamentaria Lettera agli Ebrei. La soluzione offerta dall’umanista, oltre che al rimando alla molteplice e reiterata presenza del Risorto secondo i racconti evangelici, è affidata a una curiosa sequenza di analogie naturali che lasciamo scoprire al lettore.
Il teologo, poi, lascia spazio all’oratore appassionato che esalta l’intima comunione tra l’uomo e il suo Dio attraverso un segno così “sperimentale” e disponibile a tutti, com'è il pane e il vino. È l’anticipazione di quella divinizzazione finale che la creatura umana vivrà nell’escatologia: «L’uomo, nutrito di pane, fatto di fango, sale sopra i cieli ed è reso Dio!». Ed è suggestivo che la clausola del sermone veda ritornare in scena il filologo Valla che illustra la semantica greca della parola «eucaristia», cioè ringraziamento.