Clic, c’è Cantini. 50 anni di immagini
Corriere fiorentino, 24-01-2019, Edoardo Semmola
C’è chi fotografa «quello che c’è». E chi «quello che cerca ». Carlo Cantini appartiene a questa seconda scuola: «Il corpo umano è ciò che mi attrae e mi coinvolge di più. Sia esso vivo, sia rappresentato in scultura. Sia fermo che in movimento, dipende dalla forma – racconta il maestro fiorentino classe 1936 – E con esso la confusione tra ciò che è vivo e ciò che non lo è, in un continuo incontro tra queste due dimensioni». È questo approccio che fa di Cantini un artista del tutto originale nel campo della fotografia contemporanea: «Non sono uno che fotografa la realtà che trova, io fotografo quello che penso. Tutti gli scatti che ho realizzato in mezzo secolo li ho cercato con un atto di volontà». Basterebbe questa suggestione per accendere curiosità e fantasia nella mostra che si apre domani alle 17 a Villa Bardini: Carlo Cantini. Tra realismo e immaginario. Settanta immagini che rimarranno esposte
fino al 17 marzo. Con lo stesso maestro che sarà presente all’inaugurazione. «Sono partito dalle esperienze degli anni Cinquanta e Sessanta, quando da ragazzo non avevo ancora capito che tipo di fotografo volevo essere ma – racconta – già lavoravo in una zincografia e facevo i cliché per la stampa». La foto iniziale, quella che dà origine a tutta la «storia» raccontata nella mostra – perché di storia si tratta, la sua è una narrazione, scatto dopo scatto – ritrae una coppia che a Firenze guarda nel vuoto in una giornata di nebbia. «Da quella ho iniziato a cercare altri soggetti: ragazzi, bambini, un uomo che pesca dalla spalletta dell’Arno, poi nel 1968 sono diventato professionista, ho aperto lo studio in Santo Spirito e il mio primo cliente è stato Piero Pananti della Galleria Pananti, che mi ha aperto al rapporto con l’arte, mi ha fatto conoscere Montale e altri poeti che frequentavano la galleria».
È in quel momento che lo sguardo del giovane Cantini si è concentrato sull’arte, ha incontrato Burri, Rauschenberg, Liechtenstein, «ho viaggiato per il mondo e ho allargato lo sguardo». La sintesi di questo percorso può essere rappresentata dalla fotografia che nel giardino di Boboli «immagina» una storia d’amore tra un uomo nudo che gira tra le statue in cerca della sua Venere. «Ero andato oltre la documentazione per entrare nell’interpretazione, nel mio immaginario e non mi sono più fermato, andando sempre in cerca di storie d’amore che nascevano nei giardini ma prima ancora nella mia fantasia». Di Firenze poi vediamo anche alcuni significativi cambiamenti culturali come quello del teatro negli anni ‘70 che Cantini racconta con i divi del palco che si esibivano nei bagni pubblici o nei macelli per il bestiame: «Non si vede la città che cambia nelle mie foto, ma si vede come noi siamo cambiati».