Alpi Apuane. Le scalate in solitaria di Gianluca Briccolani
Reality Magazine, 01-03-2019, Roberto Mascagni
A Firenze, nella sua bottega di tappezziere, incontro Gianluca Briccolani. Sete, cotoni, velluti e damaschi li vedo riuniti in pezza o arrotolati sugli scaffali, prima che vengano distesi sul tavolo di lavoro tagliati con perizia artigiana per realizzare copriletto e tendaggi, sagomare schienali di sedie e poltrone o una varietà di cuscini. Il tappezziere Gianluca sa tutto dell’arte sua; un’arte antica, questa, ereditata dal padre. Ma l’inizio della sua carriera professionale non fu subito conseguente a quella paterna, perché sentì il bisogno di sfogare una delle sue grandi passioni: la fotografia editoriale. Poi, trascorsa la prima giovinezza, si fissò in un’altra passione: quella per la montagna e le ardite scalate in solitaria. «A quasi trent’anni – spiega – grazie al determinante aiuto di un amico, provai l’ebbrezza di avanzare in verticale. Cominciai a frequentare la cava in dismissione vicino a casa, famosa per aver contribuito a ornare la città con la sua bella pietra serena».
Quando e come è nata la sua passione per l’esplorazione di una montagna?
Fin da adolescente ho sempre vissuto la mia vita in piena libertà: questa è stata la principale molla che mi ha spinto verso le prime vacanze sulle Dolomiti. Nato da genitori incalliti frequentatori della spiaggia, ho sempre sentito verso la roccia un’attrazione molto materica al limite dell’ossessione. E anche oggi, a decenni di distanza, quando mi trovo al cospetto di un seppur piccolo monolite, non so resistere all’impulso di salirlo… Andare dove volevo è stata la mia più grande conquista fin da bambino. Poi, crescendo, un amico mi prestò le sue scarpette da roccia: da lì in poi fu tutto un crescendo di scoperte di grandi spazi, anche extraeuropei, che la natura ci ha regalato.
La curiosità verso le Apuane, quindi, è nata dall’esplorazione di altre montagne?
Sì, però è stato un percorso inverso rispetto a quanto è d’uso fare: sono partito dalle quote più alte per fermarmi a quelle inferiori. Mi spiego meglio: ho fatto la conoscenza delle Alpi Apuane alquanto tardi nel corso della mia carriera alpinistica, ma quando è accaduto ne sono rimasto talmente estasiato da rifiutare quasi tutto il resto, per concentrarmi su quello che mi piace chiamare il mio posto nel mondo.
Ha dovuto fare corsi per arrivare a progredire in sicurezza in montagna?
No, sono un autodidatta della montagna e la mia prima ascensione seria l’ho vissuta a 31 anni sul Monte Bianco: quello fu il mio battesimo del fuoco, affrontato, forse incoscientemente, solo con me stesso, una piccozza e un paio di ramponi. Non amo luoghi troppo frequentati e detesto tutte q
uelle facilitazioni moderne che oltretutto deturpano anche le belle vallate che anticipano le più alte quote. La selvaggità, questo sostantivo che in realtà non esiste, ma con il quale mi piace descrivere il concetto di entrare nel cuore della natura vera, mi ha sempre intrigato fin da piccolo, quando mi divertivo a perlustrare i casolari abbandonati dell’alto Mugello. Da lì alla scoperta dei più remoti angoli del colosso himalayano è stata una naturale evoluzione. Anche sulla Cordillera Blanca, in Perù, ho potuto godere di alcuni angoli ancora vergini del nostro pianeta.
Quali caratteristiche distinguono le Apuane dalle altre montagne?
Scorrendo verso sud lungo la nostra bellissima penisola, questa catena montuosa si erge all’improvviso e in maniera inaspettata dopo i più dolci Appennini: iconograficamente appare come un’isola rocciosa a sé stante. È per questo che sono comunemente considerate montagne uniche e irripetibili. La loro storia, geologicamente parlando, avrebbe bisogno di un lunghissimo capitolo a parte: basti sapere che sono sorte milioni di anni fa da un insieme di sedimenti marini. Ed è per questo che, per chi come me ha la fortuna di percorrerne le creste anche in veste invernale, la possibilità di effettuare un’ascensione su neve a pochissimi chilometri dal mare è uno spettacolo che ha pochi rivali.
È corretto chiamarle Alpi?
È l’asprezza delle loro forme che le hanno valso questo apparentemente scorretto titolo, ma la marcata individualità che caratterizza questi monti è dovuta soprattutto alle molteplici caratteristiche che sono ìnsite nel loro paesaggio, anche perché stiamo parlando di una zona estesa su una superficie di circa 1000 chilometri quadrati. Oltre ai bellissimi sentieri e alle appaganti scalate, vi sono abissi ipogei fra i più importanti a livello mondiale, migliaia di specie floreali che dimorano tra gli interstizi più reconditi e che ne fanno uno dei più straordinari giardini a cielo aperto di tutta Europa e animali straordinari che dimorano nella natura più selvaggia e affascinante. Altri motivi caratterizzanti appartengono alla storia, perché durante la Seconda guerra mondiale qui passava la Linea Gotica. Inoltre si possono apprezzare le tradizioni antichissime, l’ottima cucina e le persone speciali native della zona.
Perché ha scelto l’alpinismo in solitaria?
Anzitutto mi preme dire che non è stato sempre così. Grazie al sacro vincolo della cordata ho stretto le più radicate e forti amicizie della mia vita. Porterò sempre nel cuore coloro che si sono legati alla mia persona, con i quali ho condiviso moltissime e difficili scalate. Poi, in un momento de
lla mia vita, ma non più tale perché dura tutt’ora, ho scelto di essere affiancato nelle mie arrampicate da due fratelli gemelli molto speciali: il silenzio e la fatica. Ma la formazione di questa cordata a tre non è stata una necessità, anche se ho un carattere introverso, ma una libera scelta.
Come è nata l’idea di scrivere un libro su questi monti?
Nell’estate del 2016 ho deciso di regalare interamente le mie ferie alla realizzazione di un sogno che covavo da tanto tempo: la traversata alpinistica di tutta la catena montuosa delle Alpi Apuane. Sapevo che farla con la calura agostana sarebbe stato un mezzo suicidio, ma radunai lo stesso moschettoni, barrette e tendina nei venti chilogrammi che costituirono il mio zaino e partii. Dopo 18 giorni passati solo con i miei pensieri, con il mio taccuino di viaggio e la macchina fotografica, il materiale raccolto era così tanto e variegato da non poter non essere raccolto in un libro.
Una pagina del suo sito ha per titolo “Meraviglia e Orrore”. Che cosa si deve intendere con queste due parole?
L’idea di costruire un sito internet mi è venuta dopo l’uscita del mio libro L’altezza della libertà pubblicato da Polistampa, perché l’ho considerato come un aggiornamento del libro stesso. Auspico che il mio tributo a queste meravigliose montagne, che tanto regalano al mio spirito a ogni gita o arrampicata che vi compio, vada avanti come uno sguardo continuamente vòlto ai panorami bellissimi che incontrerò e anche per monitorare lo scadimento ambientale.
Esistono secondo lei altre possibilità occupazionali alternative all’escavazione del marmo?
Certo che sì! E lo dimostrano i molti giovani con cui ho parlato durante l’avventura di quell’agosto: persone che amano anche sporcarsi le mani con gli animali o con la terra, ma che lo fanno per lavorare in contatto con la natura. Detto fra noi li invidio. Molti di loro, chi allevando o coltivando o semplicemente vivendo di turismo, portano avanti una concreta economia alternativa, tuttavia rispettando l’ambiente all’interno di un Parco regionale.
L’esperienza, anche a tratti estrema, da lei vissuta due anni fa, cosa le ha lasciato dentro?
È un’esperienza che mi ha segnato profondamente l’animo e non solo per la fortissima sete patita... Le mie amiche Apuane mi hanno aiutato a conoscermi meglio sia come uomo, sia come creatura che vive tutti i giorni dentro a un disegno più grande: insomma, mi hanno trasmesso molti valori. Entrando all’interno della loro essenziale bellezza, mi sono accorto che a queste montagne non manca veramente niente per essere vissute nel quotidiano, ma con maggior rispetto.