Colori squillanti e poi i silenzi. Il viaggio di Primo Conti dentro l’arte del Novecento
Il Tirreno, 05-10-2018, Gabriele Rizza
A villa Bardini la prima delle tre mostre dedicate al pittore fiorentino nel trentennale della scomparsa

Per il primo capitolo della antologica in tre tappe dedicata a Primo Conti nel trentennale della scomparsa, veniamo catapultati in un orgia di colori, inediti e sensazionali. Brillano di inauditi e sulfurei cromatismi (incantevole sorpresa) le pareti di villa Bardini che ospita “Fanfare e silenzi”, ovvero un viaggio nella pittura dell’artista che ebbe i natali a Firenze all’alba del Novecento (il 16 ottobre), in pieno centro storico (in via Martelli), il padre toscano, la madre pugliese. Il perché questo titolo bifronte, in odore di ossimoro, lo spiega la curatrice Susanna Ragionieri: «Cerca di tradurre in parole il viaggio nell’esperienza pittorica di Conti. E se il primo termine richiama l’esperienza futurista, quella propensione scattante all’avanguardia, come enunciato dal manifesto del 1910 che parla di “tele squillanti come fanfare assordanti e trionfali”, l’altro si riferisce al secondo periodo della sua vita d’artista, la fase segnata da una ricerca del trascendente, lungo una diversa, più sofferta, esplorazione del linguaggio pittorico».
Certo se silenzio deve esserci è di marca contagiosa, un ronzio dove si avverte l’eco del colore che batte incessante sull’incudine delle forme. Fanfare ma anche silenzi, dunque. Futurismo ma anche metafisica. Luci ma anche ombre. Secessionismo e cezannismo. Espressionismo e fauvismo. Pittura ma anche poesia. Le tele e i libri. Lui che nel 1928 insieme a Leonida Repaci si adopera per la fondazione del Premio Viareggio. Il giovane Conti è creatura estrosa, estroversa, concretamente onnivora. Un vaso di Pandora, un ribollire di esperienze, un cratere di energia. Conti scopre, annusa, sfida, cerca, crea. Così nel 1917 la serie della nature morte lo obbliga a “vedere” l’ombra proiettata dagli oggetti. Scrive in proposito: «Attraverso zone languide di grassezza un po’ demente, dove il pennello aveva sostato titubante a lasciare il fiore di un azzurro distratto, scolando paludi solitarie di grigio inaspettati, ho mosso il mio spirito a spogliare nel fondo gli oggetti, fino allo scheletro arabescato di nero, divampante a larghe fiamme di nero fumo tra geroglifici intensificati». Avere 17 anni. Già pittore e poeta. Nel 1924 alla Biennale di Venezia e la rivalità con Carr
che esplode l’anno dopo alla Biennale romana. La declinazione è ampia. Vedi le facce dense e sghembe dei ritratti, vedi lo sguardo acceso e ossuto degli autoritratti. L’amore è sacro, l’amore è profano. E mentre sogna di essere l’iniziatore di una «vera e grande arte cristiana», dove sventola “Il Trittico del Golgota” o prepara l’incursione nella grande storia (il “Ratto delle Sabine”) ecco le cinesi frizzanti di esotismo, “Liung Yuk” («scaturita in soli quattro giorni di lavoro intenso, un dono pieno di agguati romanzeschi che offro agli amici»), “Siao Tai Tai” e “La borghese di Canton”: tutte e tre del 1924, qui raccolte insieme per la prima volta. Cartoline d’oriente, espressione di una modernità che si concreta in forme mondane. Il percorso di villa Bardini sulle tracce di Primo Conti, che a novembre si inerpica su Fiesole (alla Fondazione che porta il suo nome e nel palazzo del Comune) dice molto sulla Firenze di inizio ’900 e sulla temperie artistica che la scossero, precipitando su Roma, Venezia, Torino, Milano. Precocità e longevità. L’arabesco contiano è un albero della vita. Che germoglia, scuote le fronde e ombroso si placa.