Il caso Montesi e i fratelli Piccioni
Ansa, 08-09-2018, Paola Catani
Pubblicato carteggioinedito dal carcere tra Leone e Piero

Un carteggio inedito, tra il critico letterario Leone Piccioni e il fratello musicista Piero, durante i tre mesi di carcerazione di quest’ultimo per la morte di Wilma Montesi, trovata priva di vita sulla spiaggia di Torvaianica la vigilia di Pasqua del 1953. Piero Piccioni fu poi assolto con formula piena: l’unica sua ‘colpa’, ricorda Gloria Piccioni, figlia di Leone, “oltre a quella di essere un musicista che amava il jazz, fu di essere il figlio di Attilio Piccioni, tra gli ultimi rappresentanti del Partito Popolare, padre fondatore della Repubblica oltreché della Dc: come naturale successore di De Gasperi era un ‘ingombro’ di cui qualcuno voleva disfarsi”.
Quelle lettere, 27 in tutto, scritte un giorno sì e uno no dal 23 settembre al 27 novembre 1954, ritrovate casualmente in una busta, sono ora pubblicate nel libro ‘Lungara 29. Il ‘caso Montesi’ nelle lettere a Piero’, titolo che prende a prestito anche l’indi
rizzo di Regina Coeli dove Piero fu recluso 64 anni fa. Il volume, a cura di Gloria Piccioni e con l’introduzione di Stefano Folli (che oggi, insieme a Marta Morazzoni lo presenteranno a Certaldo al premio Boccaccio), contiene inoltre due ritratti di Attilio Piccioni firmati da Indro Montanelli e Giovanni Spadolini.
Proprio Montanelli definì quanto accadde “il più vergognoso, ignobile e infame scandalo che la stampa e la pubblica opinione abbiano mai scatenato contro un innocente”. Un caso che, per Gloria Piccioni, “fu la chiave di volta di un cambiamento del modo di fare e di concepire la politica e del ruolo della magistratura, e che ha lasciato ferite aperte ancora oggi”.
Le lettere, spiega la curatrice, “scrutate com’erano dalla censura del carcere,non contengono nuove rivelazioni” sul caso: vogliono essere una testimonianza, “mi piace pensare la prima e forse l’unica sul ‘caso Montesi’ offerta dalla famiglia Piccioni”. Sono “lettere private”, scritte da Leone per
intrattenere l’amato fratello”: raccontano molto “sulla vita quotidiana di una famiglia travolta da un evento ingiusto e inaudito, capace di affrontarlo con sobrietà cristiana e con la certezza del trionfo della verità e della giustizia”.
Riferiscono di cronache sociali e culturali, anche di partite di calcio e di episodi comici. Sono però anche lettere che “oltre a restituirci l’aria di un altro tempo, dicono molto, ancora oggi, sulle cose che hanno contribuito a formare la parte ‘buona’ di questo nostro Paese”. Testimonianza di uno “spirito”che nonostante il “grado fisico che ti si impone” “rifiuta o sa non curarsene; grado dal quale sai per certo che il futuro sarà tutto un risalire, e in questo antivedere è letizia, così come è letizia nel sentirsi, appunto, docili a questa sorte”: così, nella lettera del 20 ottobre 1954, scrive Leone Piccioni. Che del volume del carteggio col fratello è riuscito a sfogliare solo le prime bozze: è scomparso il 15 maggio scorso.