Astori. Una storia indelebile nella storia di Firenze
Toscana Oggi, 06-05-2018, Antonio Lovascio
Non è facile individuare i passaggi e le immagini più belle e toccanti nel libro-tributo Davide Astori. Ci sono storie che…, di Mario Lancisi e Marcello Mancini con la collaborazione di Duccio Mazzoni, edito da Polistampa (pagine 128, 15 euro). Non è, come qualcuno potrebbe pensare, un semplice flashback innestato sulla cronaca di un momento allo stesso tempo drammatico e straordinario: lì sono state scritte pagine indelebili della Storia di Firenze. Una città che non è normale, anche se per un padano come me è difficile spiegarlo. Lo aveva ben compreso il mio conterraneo ed amico Emiliano Mondonico, che ci ha lasciato venti giorni dopo la morte «del Capitano coraggioso»: non per caso ritratti insieme mentre si scambiano una stretta di mano felice in occasione della festa per i 90 anni della Fiorentina, il 28 agosto 2016. Una data memorabile, come purtroppo rimarrà quella (4 marzo scorso ) in cui il cuore di Davide ha cessato di batttere, a Udine. Il caloroso e corale omaggio che i fiorentini, con tutto il mondo del calcio «pacificato», gli hanno reso nella piazza e nella Basilica di Santa Croce, e non di meno quello delle settimane successive al Franchi, hanno compiuto una sorta di prodigio. Quello di far tornare i Della Valle allo stadio ed al timone della Fiorentina, senza continuare a minacciare di venderla al miglior offerente, e di riunire «in un comune sentire» le anime belligeranti di guelfi e ghibellini come è avvenuto in poche altre situazioni.
In questo «ritrovarsi» sono racchiusi valori (in primis quello dell’amicizia descritta con toccanti «pennellate» da Saponara e Badelj, il dolore e la soffer
enza per una perdita immatura, il senso di appartenenza civile e sportiva) che due giornalisti di razza hanno catalogato con indubbia incisività. Prima di tutto hanno fatto emergere, senza cadere troppo nella retorica, i tratti umani del calciatore, efficacemente tratteggiato nella prefazione dal sindaco Dario Nardella e nell’Omelia pronunciata ai funerali dall’Arcivescovo card. Giuseppe Betori, pubblicata integralmente. Questi documenti, con altre numerose significative testimonianze riportate nel volume, danno un senso all’immensa partecipazione ed al netto contrasto con i discutibili comportamenti spesso esibiti, dentro e fuori dal campo, da osannati campioni. Fanno capire perché i fiorentini percepivano come uno di loro questo giovane solido e tenace (cresciuto a San Pellegrino Terme, perla della Val Brembana, dove ora riposa in pace) arrivato in Nazionale. E che forse non avrebbe più lasciato la città del Giglio, avendo un chiaro progetto di vita con Francesca e, grazie a lei la tenerezza del suo affetto paterno per Vittoria: «Capitava – scrive Nardella – di incontrarlo per le strade del centro, mentre spingeva la carrozzina della sua piccola: aveva un sorriso per tutti, aveva la spensieratezza del campione saggio che non perde la genuinità anche se la sorte e l’impegno lo hanno spinto nell’empireo dello sport. Un uomo vero in campo perché lo era prima di tutto nella vita di ogni giorno. Una persona sensibile, attenta ai temi politici e civili, generosa come ha saputo dimostrare in tante occasioni e in progetti di solidarietà». Un ritratto che conferma quanto detto da chi lo conosceva interiormente, uno per
tutti il cappellano viola don Massimiliano Gabricci. Il libro alimenta nuove emozioni. Testimonianze, commenti, un centinaio di immagini scattate da Tommaso, Riccardo, Roberto Germogli e da Davide Franco, perfino i disegni dei bambini per i quali si è infranto un mito. Tutto questo contribuisce a rappresentare il grande rimpianto per il tragico addio di Davide; a ricostruire il suo impegno nelle squadre in cui ha militato e prima ancora nel tessere legami aperti, onesti e schietti con gli avversari, costruttivi e quasi fraterni con tutti i compagni, per trovare poi quel ruolo di capitano-chioccia della Viola. Oltre a ripercorrere quelle giornate e il ricucito rapporto della squadra con la sua tifoseria, il volume offre anche spunti di riflessione, forti richiami a tutto il mondo del calcio, riaffermando che sui campi, come nella vita, si gioca in squadra: nessuno può fare a meno degli altri. Lo ricorda il cardinale Betori: non è un momento semplice per la pratica agonistica, tra chi la vuole illusoria fabbrica di idoli e chi ne vede solo le potenzialità economiche. Ecco perché occorre «riportare lo sport alla sua vocazione di luogo di crescita della persona e di promozione della vita sociale, sapendo che ciò dipende essenzialmente dalla circolazione di valori autentici, che Davide incarnava con spontaneità». Questa è sicuramente una delle storie che , come affermano Lancisi e Mancini, «abbattono i muri di ostilità che spesso feriscono lo sport e il senso di amicizia e lealtà che dovrebbe suscitare anche nel naturale gioco delle sane contrapposizioni». Questo ci ha insegnato «il fiorentino per sempre» Davide Astori.