Mario Bernardi Guardi, «Fascista da morire»
La Biblioteca di via Senato, 01-01-2017, ––
È l’agosto del 1944: fantasmi insanguinati alla rincorsa per l’Italia. Guerra e guerra civile insieme. Firenze brucia. Brucia per il caldo feroce e per la furia delle passioni. Gli Alleati sono arrivati in città, i partigiani fanno festa con loro: viva la Liberazione. Ma c’è chi non è d’accordo. C’è chi fa un’altra Resistenza: sono trecento fascisti che, appostati sui tetti o nascosti nei tombini, sparano addosso a chi esulta. Trecento fascisti, molti giovani e giovanissimi, tante anche le ragazze. Sono i franchi tiratori. Così gli garba esser chiamati. Ma chi li odia li ha ribattezzati cecchini. Sparano. Facile il gioco di parole: sperano anche? No, ma non sono neppure dei disperati. Anche se non credono che fascisti e tedeschi ce la faranno a ribaltare le sorti della guerra, anche se sanno di essere dei vinti, non sono convinti per nulla che la ragione stia dall’altra parte. In ogni caso, loro hanno idee, rabbie, passioni, e non sono disposti a rinunciarvi. E poi sono fiorentini e ai fiorentini dà un po’ noia che qualcuno gli venga in casa e gli dica: ti porto la libertà. La libertà me la prendo io, quando mi pare – replicano. Ed eccoli, dunque, a sparare con tutta la ‘tigna’ toscana, di cui era un gran cultore Indro Montanelli: un misto di ribellione, di strafottenza, di piacere impertinente di mandare al diavolo chiunque ti faccia la predica.
Mario, il ventenne protagonista di Fascista da morire, primo romanzo di Mario Bernardi Guardi, è in attesa. Vuole anche lui andare sui tetti e aspetta di conoscer qualcuno che ce lo porti. Non gliene importa nulla di morire. E se poi gli è accanto Toschina, quindicenne, quasi una bimba, ‘puppe’ di latte, miele e rose, gambe snelle e diritte, meglio. A dire il vero, Bernardi Guardi ha scelto il nome di Toschina per una ragazza di cui si è ‘innamorato’, gustando e soffrendo, come se anche lui ci fosse dentro, il penultimo capitolo della Pelle di Curzio Malaparte. Dove fa la sua gran bella figura una ragazza, bella e sfacciata, che sta tra i giovani fascisti, beccati dai partigiani a sparare dai tetti. Almeno i liberatori dicono così. Toschina è lì, insieme ai suoi amici, sui gradini di Santa Maria Novell
a, in attesa della sentenza di morte. E nell’attesa, manda a quel paese i giustizieri, prendendoli in giro. Come sono bellini con quei fazzoletti rossi al collo… ma chi si credono d’essere?... vadano a farsi fottere, noi la soddisfazione di tremar dalla paura non gliela diamo. E i partigiani li ammazzano tanto nella Pelle, quanto in Fascista da morire. Dove compare anche Gino. Mario andava insieme a lui, a ripetizione di matematica, a casa di un grande professore. Che era anche un grande poeta e un indomito spirito libero: Berto Ricci, fondatore di un foglio di polemica politica, «L’Universale», che ebbe fior di collaboratori, tra cui anche Montanelli. Passato dal nero degli anarchici al nero dei fascisti, Ricci era un combattente intrepido e scomodo, uno che credeva in un fascismo probo, duro e puro, che la rivoluzione la doveva portare a termine, visto che aveva picchiato sui rossi, ma non sugli sfruttatori capitalisti, sui borghesi conformisti e bigotti, sulle destre clericali e conservatrici. A casa di Ricci, Mario e Gino avevano imparato la matematica e il fascismo ‘giusto’, alla faccia di quello restauratore, autoritario e normalizzatore che piaceva ai benpensanti. Anche a Mussolini? Ricci nel Duce ci credeva e anche quando «L’Universale» era stato soppresso aveva continuato a crederci ed era andato a combattere in Africa da volontario, morendo in Cirenaica, colpito dalla mitraglia aerea inglese nel 1941. Ecco, Mario vuole andare sui tetti, perché la lezione di Berto per lui è un’eredità. Perché se il fascismo ha la sua bella (anzi brutta) provvista di errori e orrori, qualcosa ha costruito. E gli altri sono peggio. Gli altri amano di meno l’Italia. Gli altri – i liberatori, coloro che stanno vincendo, i padroni yankee, alleati con la Russia comunista – asserviranno la patria e l’Europa. Insomma. vincono, ma non convincono. E noi allora facciamo quello che dobbiamo fare, ‘fascisti da morire’, fascisti per la morte, brutti, sporchi e cattivi, ma con un’idea di bellezza e giovinezza, patria e poesia, amore e onore, che nessuno ti strapperà via. Suggestioni ‘adolescenziali’? Può darsi, ma anche Montanelli, tutte le volte che ha rievocato il suo amico Berto – e lo ha
fatto sempre con partecipe commozione – gli ha dato atto di aver creduto in tutte queste cose, si è rammaricato di non essere stato accanto a lui «nel momento della verità» e si è inchinato dinnanzi alla sua memoria. Berto Ricci è morto, ma per Mario è un interlocutore. Bernardi Guardi ne inserisce anche un altro, nel romanzo, e questo è vivo. È uno scrittore, si chiama Romano Bilenchi, ha creduto nel fascismo rivoluzionario di Ricci, ha collaborato all’«L’Universale», poi, deluso, ha separato il suo destino da quello di Ricci. Ora è un comunista e un capo partigiano. Ma è amico di Mario e cerca di convincerlo. Il fascismo ha tradito tutti noi – gli dice –, i valori che sventolava a colpi di retorica noi partigiani li facciamo diventare vivi e veri, vieni con noi, fai in tempo, falla finita con le allucinazioni, fai un bel bagno nella realtà, non ti far ammazzare per una fedeltà ostinata e bischera, costruiamo insieme l’Italia, è questo che i comunisti vogliono, forse sono loro i veri ‘fascisti’ alla faccia di quelli che hanno ingannato e tradito. Mario non ci crede. Perché crede in Berto. Perché Berto è accanto a lui e gli dice: nonostante… Nonostante errori e orrori, tieni duro come ho fatto io, non rinnegare. Nei vent’anni abbiamo fatto indigestione di retorica, ma spesso battezziamo retorica la voglia sincera di volare in alto. Mario aspetta. «Noi si tira solo a chi si merita di morire: e son tanti», dice, reagendo contro chi accusa i franchi tiratori di sparare addosso anche alle ‘donnine’ che vanno col secchio a prender l’acqua. Mario aspetta: la vita, la morte, tutt’insieme. In quell’agosto fiammeggiante, protagonista – insieme ai vivi, ai morti, ai sogni e ai fantasmi – di un romanzo che Giampaolo Pansa – amico antifascista di Bernardi Guardi, come Bilenchi è l’amico antifascista di Mario – ha definito «straordinario e disperato». Ma in realtà, nei momenti cruciali della storia, si muore non per disperazione, ma per un sovraccarico di speranze che tiri tutte fuori, d’un balzo. E sei contento. Forse è questa ‘la bella morte’.