Le terzine in cornice
Corriere della Sera, 25-09-2016, Marco Gasperetti
Dipinti, versi e creature virtuali. Così lo sguardo di Venturi e Luzi fa rinascere il dante visionario

Camminando verso Costa San Giorgio, dopo aver attraversato Ponte Vecchio, si sale verso Villa Bardini, ai piedi di Forte Belvedere, la terrazza che trionfa su Firenze e la svela. Poi, al terzo piano della dimora, oggi centro espositivo, ecco aprirsi i segreti della mostra evento. Un itinerario di discontinuità tra le circa dieci sale, che si visitano seguendo ciò che sembra la metafora di un percorso di lettura ipermediale. Lo sguardo si muove tra i disegni, oli su tela, sulle antiche terzine del Poeta, sulle suggestioni multimediali e olografiche che uniscono in un unico mix il Medioevo con la contemporaneità e l’arte del segno con la parola scritta. Ma La Divina Commedia di Venturino Venturi è molto di più di un’esposizione di opere del pittore e scultore di Loro Ciuffenna (paese del Valdarno aretino) dedicata al capolavoro di Dante. Perché nelle 54 tavole originali inframmezzate da terzine dell’Alighieri scelte dal poeta Mario Luzi, amico fraterno di Venturino, c’è l’essenza di questi due artisti che si conobbero e insieme e in parallelo vissero quella inspiegabile evoluzione della propria arte, che a volte accomuna sublimi sensibilità. «Che qui a Villa Bardini, seguendo la Commedia, ripropongono con un crescendo dantesco sino ad arrivare all’esternazione pittorica e poetica (nella scelta di Luzi delle terzine che si intonano al disegno con un’empatia che ha dell’incredibile) del Paradiso, un vero capolavoro», spiega Lucia Fiaschi, storica dell’arte e curatrice della mostra.
È un evento, dunque, quello che si apre il 29 settembre (sino al 26 febbraio del 2017, ingresso gratuito), patrocinato da Generali Italia attraverso «Valore Cultura» (il programma con cui la Compagnia promuove la diffusione di attività culturali) e in collaborazione con l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze e Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron. L’allestimento è sobrio eppure sofisticato e anche provocatorio nella scelta di frammentare il tempo e lo spazio aprendo nelle sale totem e proiezioni multimediali e persino una raffigurazione virtuale, un ologramma ad alta risoluzione, di Beatrice che invita il visitatore a immergersi nella rappresentazione del Paradiso. «Sezione nella quale Venturino Venturi cerca l’Assoluto – dice la curatrice – e Mario Luzi l’aiuta trovando le giuste terzine, forse le meno conosciute del capolavoro dantesco ma che meglio possono far vibrare l’arte dell’amico». Venturi e Luzi. Un binomio che parte da un imprinting letterario: quello appunto della Divina Commedia. Che Venturino, ad appena 5 anni, assimila dal padre scalpellino il quale, socialista, fugge dal fascismo prima in Francia e poi in Lussemburgo portandosi dietro due libri in italiano: il capolavoro di Dante e Pinocchio di Collodi. Due libri simbolo, per quel babbo dalla schiena dritta, la quintessenza dell’italianità e della sventura d’essere esule e girovago che lui stesso sta vivendo con la famiglia. Venturino torna in Italia a studiare all’Accademia delle belle arti verso la metà degli anni Trenta. E a Firenze, frequentando bar letterari come le Giubbe Rosse, incontra tra gli altri grandi nomi del
l’arte, della poesia e della letteratura, Ottone Rosai, Nicola Lisi, Vasco Pratolini, Piero Bigongiari, Giuseppe Ungaretti. E Mario Luzi. Che allora è un petrarchista convinto ma, dopo un’immersione totale nelle opere dell’Alighieri, scopre la contemporaneità di Dante e ne resta affascinato. Venturino sembra conoscerla già (l’imprinting) e la manifesta con i suoi disegni che poi diventeranno, grazie anche a Luzi, materia di una Divina Commedia memorabile pubblicata a Firenze (edizioni Pananti) nel 1984. La mostra fiorentina riordina quelle tavole e le trasforma in galleria. «Dimenticando Gustavo Doré (il famoso illustratore della Divina Commedia) che nulla ha in comune con Venturi e Luzi – spiega la curatrice Fiaschi – ma ricordando, nell’esposizione, i disegni del Botticelli e la famosa rappresentazione dell’Inferno riprodotta grazie a un’installazione multimediale. Un tributo anche al classicismo di Venturino, attratto dall’arte del passato ed estasiato dai grandi pittori, Donatello in primis». Camminando in modo non sequenziale, come un ipertesto appunto, tra le sale della mostra non c’è soltanto l’essenza del capolavoro dantesco, ma soprattutto l’anima di Venturi. Duale e inquieta, umbratile e luminosa. Costretta all’ospedale psichiatrico per una grave depressione causata dalla terribile esperienza della guerra e poi risorta. Anche la rappresentazione di Ugolino, che nel XXXIII Canto dell’Inferno solleva la bocca dal fiero pasto, racchiude un doppio artistico. E la ferocia e l’orrore sembrano confondersi con un amore paterno. Uno dei tanti capolavori della mostra fiorentina.