Cadere nel cielo
Reality Magazine, 01-03-2016, Francesco Gurrieri
La Valdinievole è la più silenziosa, la più dolce, la più incantevole delle valli toscane. Da Coluccio Salutati al Giusti, al Fucini e Ferdinando Martini, è riuscita a rimaner fuori dalla virulenta occupazione turistica manifestatasi altrove così che, ancor oggi, affacciandosi da Mosummano Alto o dalla terrazza di Massa Cozzile è ancora possibile godere di un paesaggio che ben ritroviamo negli sfumati di Leonardo. Così, passata Serravalle e la Torre di Castruccio, prima di arrivare a quella città di “nuova fondazione” voluta dal Granduca Pietro Leopoldo e progettata da Gaspero Maria Paoletti, oggi nota come Montecatini Terme, si traversa il territorio di Pieve a Nievole. Qui, adagiato a godere del sole “a bacìo”, c’è lo studio di Roberto Giovannelli, di un artista vasarianamente formatosi, fra la pittura, la scultura, le biografie e la letteratura artistica. Ma Giovannelli è, soprattutto, un genius loci, davvero un’entità naturale e soprannaturale oggetto di culto e legata a un luogo: la Valdinievole, appunto!
Infatti, anche se ha insegnato all’Accademia di Firenze, di Bologna, di Carrara e si è formato alla Rijksakademie di Amsterdam, siccome nullus locus sine Genio, alla fine, è proprio qui, nella silenziosa Valdinievole, che possiamo ancora godere di uno studio d’artista, di una conversazione, di una riflessione filologica quieta e appagante. È ciò che ho provato io, recentemente, in visita in questo atelier dove gli olii, le tempere, i pastelli, le sculture, sono un tutt’uno con le monografie d’arte, con i trattati, con i tanti appunti che accompagnano i suoi studi e i suoi amori, da Giovanni da Sangiovanni al meno noto artista dell’Ottocento. Già, Giovanni da Sangiovanni, un artista considerato “secondario” fino ad al
cuni decenni or sono (se pur nobilitato dai lontani studi del Giglioli e della Banti), tanto da mandarne quasi in malora le meravigliose lunette del portico della Santa Maria della Fontenuova; lunette che, come dimostra l’ultimo omaggio del Giovannelli, devono essere state determinanti per la sua vocazione artistica e per la sua “cifra” espressiva: ritengo infatti che il tondo degli Uffizi di Giovanni Mannozzi da Sangiovanni – Apollo e Fetonte – sia da considerare il paradigma dell’intera sua ispirazione. La geometria compositiva, la delicatezza cromatica, la postura delle figure fanno di quest’opera quasi l’apparato generativo della vasta e pur sempre meditata pittura (intellettuale) del nostro Artista. Ma cosa fa del linguaggio di Giovannelli una continua affascinante vibrazione poetica, distinguendola, ad esempio, da compagni di viaggio a lui non lontani come Roberto Barni o Andrea Granchi? La risposta la troviamo in un passo autobiografico di una lettera scritta a Pier Carlo Santini nel 1976: “Tra le maniere di esprimersi il disegno e la pittura, le tecniche più antiche della rappresentazione, sorelle della luce e delle ombre (generate dalla mente e dal cuore della giovane di Corinto), sono quelle che formano la sostanza più autentica della mia capacità di comprendere e di comunicare; sono l’anima della mia intuitiva percezione del mondo e i mezzi istintivi del mio linguaggio. La consapevolezza del rapporto reciproco esistente fra tutte le arti, della loro possibilità di combinarsi nelle maniere più diverse, la cognizione che – ars una, species mille – la pittura nelle traiettorie della vita contemporanea non è la sola maniera di fare arte visiva, suscita in me una determinazione ancora più forte nel seguire la strada della pittura, un fascino grande e dichiarato nei confronti della suprema povertà
di questa silente (volubile e naturalmente infedele) ‘Arte Bella’”. Mutuo da Carlo Sisi (Ecfrasi) il richiamo all’eleganza della scrittura pittorica di Giovannelli: “La quieta astrazione dei dipinti di Bugiani ha dunque accompagnato la formazione di Giovannelli, che in alcuni suoi disegni  di umili oggetti recupera infatti la nitida definizione del segno di tradizione antica, ma soprattutto sembra far propria l’attitudine spirituale a coltivare l’immaginazione lirica che gli fa eleggere l’atelier domestico a ‘cantuccio’ pascoliano o a scontroso osservatorio del mondo oltre la siepe. I giovani estatici in ammirazione del firmamento, protagonisti di alcuni suoi quadri, come pure l’esile uomo che traguarda dall’edificio in bilico nello spazio immisurabile e silente evadono da quel recinto rassicurante e introverso, ma pur sempre ancorando l’infinito desiderato ai canoni di un’esperienza terrena fatta di conoscenza e di misurazioni, di analisi logica e di meditate ecfrasi, di seste e di matite colorate. Un vento primaverile scompiglia le forme e i colori di risorgente ansia di imbrigliare l’attimo, di trattenere un lembo della veste di Artemisia, di cogliere l’inesprimibile essenza d’una ‘lucciola errante’”. Così si torna alla poesia in Valdinievole e a quell’“attraversare e interrogare la contemporaneità con una visione colta e raffinata, che è attenta a un ideale classico di bellezza che l’artista declina con ironia e leggerezza” (Vezzosi). Si torna ad un angolo di mondo ancora quasi incantato, quasi incontaminato, testimone ultimo di un’Arcadia perduta, che avremmo voluto frequentare e che Giovannelli, appunto, ci ripropone con la discrezione, la leggerezza, l’eleganza della sua “scrittura pittorica”. E di ciò dobbiamo ringraziarlo.