Verso il Viet Nam con La Pira per fermare la guerra
La Repubblica, 14-02-2016, Massimo Vanni
Non è solo una telecronaca in differita di 50 anni. È uno scavo nella memoria quello di Mario Primicerio, primo ed unico sindaco ‘ulivista’ di Firenze. La memoria propria e quella di un’intera generazione: il viaggio verso Hanoi, in un Vietnam dilaniato dalla guerra, con l’allora sindaco Giorgio La Pira. Un racconto zeppo di documenti e testimonianze ma vissuto con gli occhi di un ragazzo di 25 anni, ancorché già docente di matematica. Perché la scelta di Primicerio, spinto da un rigore filologico che lo porta ad attenersi pure alla corretta grafia ‘Viet Nam’ (cioè, popolo del sud), è quella di riportare il testo originale del diario che lui stesso scrisse 50 anni fa.
In quell’Italia locomotiva e aperta al futuro degli anni Sessanta – lontanissima da quella di oggi – era il più giovane collaboratore di La Pira e toccò a lui incrociare la storia assieme al ‘Professore’: un viaggio di quasi un mese tra l’ottobre e il novembre del 1965, attraverso la Polonia, la Rus
sia, la Cina. Verso l’incontro con Ho Chi Minh, che ancora oggi in Vietnam è ‘Bac Ho’, lo zio Ho, cioè uno di famiglia.
Fu vero tentativo diplomatico quello di La Pira? Davvero l’allora sindaco di Firenze, messo alla berlina perfino dal giornale della sua città (La Nazione), avrebbe potuto ricucire un mondo diviso in blocchi fermando bombe e napalm? Nelle pagine questa domanda non c’è ma il libro stesso è una risposta. Perché è vero che, dopo quel viaggio, ci vorranno ancora dieci anni prima di vedere, nell’aprile 1975, l’ingresso a Saigon dei vietcong, cioè dei comunisti vietnamiti. Ma è anche vero che l’incontro stesso con Ho Chi Minh, racconta Primicerio, non fu solo il frutto della fede spaccamontagne di La Pira. Che pure era una fede visionaria e utopica: «La pace è inevitabile, inevitabile il disarmo, inevitabile l’unità e la promozione e la civiltà di tutti i popolo del mondo», scrive La Pira il 9 luglio del 1965 a Ciu En Lai, capo del gover
no cinese. «La guerra è strumento finito, appartiene ad un’era definitivamente tramontata. La guerra totale, nucleare ed anche, in conseguenza, le guerre locali sono strumenti dell’epoca finita», aggiunge l’allora sindaco nella stessa lettera.
Ed è lo stesso La Pira che, bloccato ad Omsk senza sapere come e quando ripartire, il 5 novembre 1965, risponde ad un Primicerio che gli chiede cosa fare: «Intanto diciamo il rosario». E non è un caso se il giovane docente che lo accompagna sente il bisogno di annotare quella risposta sul diario, avvertendo che ci fosse qualcosa di più di una semplice evocazione di speranza.
Chissà se anche Amintore Fanfani, primo interlocutore politico di La Pira, nel 1965 presidente dell’assemblea Onu, avvertì quel qualcosa di più. Ma se quel tentativo non ebbe seguito, spiega il libro, non fu per lo slancio utopico ma per la materialissima contrarietà Usa, che in Vietnam avrebbe voluto replicare il modello Corea, con un Nord e un Sud, come argine al comunismo.