«La mia Turchia, modernità e tradizione con la minaccia dell’integralismo»
Il Giornale di Brescia, 11-11-2015, Francesco Mannoni
In «Una mosca turchese», la giornalista Donatella Piatti racconta i suoi 36 anni vissuti a Istanbul

«La Turchia? Un Paese moderno con spirito europeo, ma sicuramente il neo-Islam riscoperto e rispolverato negli ultimi quindici anni ha cambiato usi, costumi e cultura e ora in Turchia religione e modernità tentano di convivere, anche senon è affatto facile». La scrittrice e giornalista di moda e di costume Donatella Piatti, italiana trapiantata in Turchia per amore, vissuta a Istanbul per trentasei anni dopo aver sposato un giovane turco, parla della sua esperienza nel libro autobiografico «Una mosca turchese» (Mauro Pagliai editore, 156 pagine, 12 euro) in cui racconta com’è stato il suo impatto con una cultura assai diversa dalla nostra. «Sembrerà incredibile-sottolinea- ma nel 1974 quando arrivai a Istanbul non mi scontrai con una cultura molto diversa da quella italiana. Ora lo è senz’altro molto di più. Per me fu come trasferirmi dal centro di Milano a una città del sud Italia. Mancavano molte cose a cui ero abituata: bar, discoteche, librerie e boutique».
Com’era la vita a Istanbul in quegli anni?
«La vita, rispetto a quella milanese, era come al rallentatore, tutti si conoscevanoe si parlavano per le strade senza traffico, e la mancanza di strutture sociali veniva compensata da una solidarietà che ricordava quella del nostro Meridione. Nessuna donna, allora, portava il velo e quasi tutte lavoravano, i gi
ovani erano un po’ superficiali e molto poco disinvolti sessualmente; gli uomini (a differenza delle donne, molto più moderne) in generale mi irritavano perché si comportavano come dei sultani capricciosi. Ma né questa vita un po’ retrò né la loro religione professata discretamente e solo durante le feste comandate, furono mai causa di difficoltà per me».
Quali le differenze più difficili da superare?
«Io abitavo a Istanbul, città da sempre cosmopolita, in un ambiente moderno, colto, tra persone che avevano viaggiato e lavorato all’estero. Diverso sarebbe stato se mi fossi innamorata per esempio di un ragazzo dell’Anatolia, ma non credo sarei rimasta 36 anni in Turchia. Mio marito aveva una mentalità aperta e a parte una certa gelosia a volte un po’ opprimente non fu difficile trovare un equilibrio familiare». Quanto è importante il nucleo familiare in Turchia?
«La famiglia è molto importante nella società turca, un vero rifugio e il rapporto con i parenti, ma anche con vicini e amici, viene coltivato con cura e costanza. Generosi e molto empatici i turchi amano ospitare e lo fanno senza essere invadenti. Ed è grazie alla famiglia che in Turchia non ci si sente mai soli».
Quanto la vita turca è ancora attaccata alla tradizione e quanto invece la gente ambisce alla modernità? «Difficile da dire! Bisogna sempre distinguere tra chi vive nelle grandi città moderne,
cosmopolite e laiche e chi nelle periferie o nei centri ruralit radizionalisti e islamici: due anime di un Paese che da sempre si confrontano, cercando di convivere tra desiderio di modernità e attaccamento alle tradizioni».
Lei è tornata definitivamente in Italia nel 2014: visti oggi, come sono stati nel complesso i 36 anni trascorsi in Turchia?
«Personalmente sereni, ma comunque tra qualche colpo di stato, devastanti terremoti e crisi politico economiche. Con mia madre che a ogni notizia allarmante si aggrappava al telefono supplicandomi di tornare in Italia».
L’estremismo islamico si è radicato anche in Turchia?
«Saranno le prossime generazioni a giudicare quanto si sia radicato l’estremismo islamismo e quali le sue conseguenze davanti all’assoluta cecità dell’Europa. Conoscendo bene la metà moderna del Paese che comunque non rinnega la propria religione, preferisco credere che in Turchia il problema più grande non sia l’islamismo, artatamente strumentalizzato, mail sogno di egemonia di Recep Tayyip Erdogan».
Secondo lei la Turchia corre il rischio di una svolta autoritaria?
«La democrazia è come un tram, ti fai portare dove vuoi arrivare, poi scendi!», tuonava già venti anni fa Tayyip Erdogan, allora giovane sindaco islamico di Istanbul. Dopo la vittoria del suo partito alle elezioni politiche del 5 ottobre viene da temere che sia arrivata per lui l’ora di ... scendere dal tram».